DOLORE AL FIANCO

Denis Laurenti

Molti podisti quando corrono avvertono una fastidiosa, fino anche ad essere avvertita come un vero dolore, fitta al fianco. Molti attribuiscono questo problema ad una sofferenza al fegato, tanto che alcuni podisti ricorrono a specifiche terapie ma nonostante ciò il problema non passa. Il dolore al fianco destro che affligge in pratica solo i podisti, soprattutto i principianti e quelli che hanno iniziato da poco a correre, dipende di solito da uno stiramento dei legamenti che sostengono il fegato dal diaframma (il muscolo respiratorio addominale).
Il “male” che si percepisce sul fianco destro può essere causato dai sobbalzi verticali che si hanno durante la corsa (i ciclisti e gli sciatori di fondo non avvisano questo problema, se non marginalmente), ed in seguito a queste sollecitazioni i legamenti sono stirati. Ciò può provocare un’irritazione, ma soprattutto una piccola occlusione dell’arteria epatica che passa vicino al legamento rotondo, tanto che al fegato arriva meno sangue.
Il fastidio scompare, o si attenua molto, quando si riduce il ritmo di corsa (e quindi il fegato richiede meno sangue), ed anche quando si evita di correre in discesa (ed in questo caso si riducono notevolmente le sollecitazioni verticali).
Una cura specifica sembra non esserci, se non il rafforzamento dei muscoli addominali (che così contengono e supportano con più efficacia gli organi del ventre) e l’assunzione di farmaci ad effetto antispasmo da assumere anche in corsa, quando il fastidio compare.
In altre occasioni la fitta al fianco destro si manifesta in seguito ad uno sforzo molto intenso, tale da determinare un’elevata richiesta di glicogeno, ed un organo ricco di tale sostanza è proprio il fegato. In questo caso, per ridurre al minimo la comparsa di tale fastidio, è indicato evitare di fare sforzi molto intensi, soprattutto in gara, quando c’è la tendenza a partire veloci per trovarsi in testa al gruppo.
Se la fitta al fianco destra di manifesta nelle prime settimane da quando si è iniziato a correre, il problema è causato da una mancanza di adattamento sia del fegato a fornire glicogeno al sangue, sia al legamento epatico di sopportare le sollecitazioni verticali. Solitamente il fastidio si attenua e scompare entro un mese dall’inizio dell’attività podistica.
Per percorrere un chilometro di corsa, un podista allenato (che quindi ha un corretto stile) spende circa una chilocaloria per ogni chilogrammo di peso. In una maratona (42,195 chilometri) un podista di 70 chilogrammi spende quindi 2940 kcal. Se il suo stile di corsa non è però ottimale ed efficiente, la spesa energetica può aumentare considerevolmente. Oltre allo stile un altro fattore che influenza la spesa energetica è appunto il peso corporeo. Essere magri è quindi un’esigenza fondamentale per il podista. Un corridore che pesa 75 chilogrammi, al termine della maratona, spende 200 calorie in più di chi ne pesa 70. Ecco quindi che il controllo del proprio peso corporeo è un aspetto altrettanto importante quanto l’allenamento. Una riduzione ponderale di 5 chilogrammi consente, grazie alla minor spesa energetica, un miglioramento del tempo
di maratona di 8,5 minuti. Il calo del peso corporeo deve però essere relativo solamente alla perdita del tessuto adiposo. Il consumo dei grassi è massimo quando si corre a ritmo lento, in pratica ad un’intensità corrispondente al 70% circa della frequenza cardiaca massima. Quando l’impegno di corsa è così contenuto, la durata della seduta può essere quindi particolarmente lunga. Per gli atleti già ben allenati, una seduta di corsa lenta può durare anche più di 2 ore, mentre i podisti che corrono da poco dovrebbero correre almeno 30 minuti. Recenti studi hanno evidenziato che, nei corridori poco allenati, l’utilizzo a scopo energetico degli acidi grassi non inizia prima dei 40 minuti. Nei podisti avvezzi alla corsa invece, il metabolismo energetico dei lipidi si attiva già dopo una decina di minuti di corsa.
In ogni caso, nella fase iniziale dell’allenamento, anche se si corre piano, l’organismo attinge le energie dal metabolismo dei carboidrati in quanto essi richiedono, per essere “bruciati”, la metà dell’ossigeno che serve invece per i grassi.

Con l’aumento dell’andatura di corsa, il costo energetico cambia, ma non di molto. Un maratoneta che corre la maratona in 2:10 spende un po’ più di energie rispetto ad un collega che la termina invece in 3:30. Da un punto di vista metabolico, a fare la differenza tra i due atleti è soprattutto il tipo di energie impiegate.
Il maratoneta più veloce utilizza una miscela energetica composta per quasi il 90% dal glicogeno e solo il 10% dagli acidi grassi. Il maratoneta che completa la gara in 3:30 brucia invece una miscela energetica composta per il 77% dagli zuccheri ed il 23% dai grassi. Chi la maratona la termina in 5 ore, utilizza una miscela energetica composta dal 70% da glicogeno e dal 30% di acidi grassi.
Nelle gare più corte (dai 10km alla mezza maratona) nelle quali si tiene un ritmo abbastanza veloce, la spesa energetica proviene quasi completamente dalla combustione del glicogeno. Negli allenamenti veloci (ripetute, corto veloce, interval training, ecc.), si bruciano quindi pochissimi grassi, ed il calo del perso corporeo, per altro molto contenuto, è prevalentemente dovuto alla perdita di liquidi.
Se si vuol dimagrire, riducendo quindi la parte del tessuto adiposo, si deve correre a ritmo lento, ed a questa bassa intensità si possono quindi percorrere parecchi chilometri. Gli allenamenti di lunga durata determinano un consumo di grassi anche dopo che si è terminata la seduta. Questa “anomalia” energetica è dovuta alla stimolazione, probabilmente per un interessamento ormonale, di particolari cellule (gli adipociti bruni) che sono i depositi degli acidi grassi.

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