IL MURO DEL TRENTESIMO CHILOMETRO

Denis Laurenti

Ogni maratona di un certo spessore, per me e penso per molti maratoneti rappresenta un incubo, l’incubo inizia con il muro del trentesimo chilometro.
C’è chi dice sinteticamente un “Ma perché sono crollato?”.
È innegabile che chi non comprende il motivo del crollo ha affrontato la maratona troppo allegramente, senza conoscere (o presumendo di conoscere senza averli studiati, il che è peggio) i meccanismi della corsa di Filippide. Quindi considerate il muro come una giusta lezione di vita: chi non capisce, in prima persona, cosa sta facendo, inevitabilmente avrà dei problemi.
Il muro è lo spauracchio di tutti i maratoneti, il crollo improvviso che si manifesta dal trentesimo al trentacinquesimo chilometro; attribuito all’esaurimento delle scorte organiche di carboidrati, esso è dovuto sostanzialmente a due fattori:
1. eccessiva velocità di gara nella prima parte;
2. scarso allenamento.
Il primo punto è percentualmente più probabile negli atleti che corrono la maratona sotto le 3h30′, mentre il secondo è più frequente in coloro che corrono la gara sopra le 3h30′. Purtroppo molti runner assommano le due cause e finiscono murati in maniera veramente drammatica.

L’eccessiva velocità di gara

Gli errori classici sono:
1. l’atleta non conosce il suo valore teorico;
2. l’atleta non conosce il suo valore pratico;
3. l’atleta vuole correre comunque secondo le sue ambizioni e non secondo il suo valore.
Valore teorico – Prima di affrontare una maratona è necessario conoscere il proprio valore teorico desunto dai tempi su distanze inferiori, valore che può servire come base di partenza per l’avventura (salvo poi aggiustamenti anche notevoli). Senza una conoscenza del valore teorico, ogni programma d’allenamento per la maratona rischia di essere puramente casuale, portando a risultati casuali.
Valore pratico – Tutti sanno che il passaggio dalla mezza alla maratona è molto più difficile di quello dai 10000 m alla mezza perché intervengono fattori energetici che possono risultare decisivi per la prestazione. Semplicemente, l’atleta non ha a disposizione una quantità sufficiente di carboidrati per terminare la gara e deve imparare a bruciare i grassi e le proteine per terminare la prova senza crolli.

Il carburante impiegato in maratona dipende da:
a) la velocità a cui si corre;
b) il grado di allenamento;
c) le capacità di recupero.
Un atleta che corre un 10.000 a ritmo gara spende quasi esclusivamente carboidrati; se li corre a ritmo lento brucerà comunque anche grassi. Allungando la distanza, il contributo dei grassi e delle proteine diventa importante quanto più l’atleta è allenato e quanto più possiede capacità di recupero. Quest’ultimo punto è importante: chi si allena tre o quattro volte alla settimana non corre praticamente mai in condizioni di esaurimento di glicogeno, cioè ha sempre carboidrati a disposizione e il suo fisico non imparerà certo a usare i grassi e le proteine; analogamente chi fa i lunghissimi troppo lenti impara a bruciare i grassi alla velocità dei lunghissimi, ma poi quando correrà a ritmo maratona (nettamente più veloce di quello dei lunghissimi) ritornerà a bruciare i carboidrati.
A seconda della capacità di bruciare i grassi l’atleta ha due strategie:
a) correre la maratona decisamente sopra il suo tempo teorico;
b) correre la maratona vicino al suo tempo teorico dopo aver ottimizzato l’allenamento innalzando la frazione di grassi che brucia al ritmo maratona.Una nota: sbagliare anche di soli 5″/km il valore pratico farà sicuramente incontrare il muro. Nessun professionista parte 5″/km più veloce di quanto valga.

Provate a chiedere ad un maratoneta “TOP” di tentare il mondiale correndo la maratona in 2h00′ (SOLO 4″/5″km in meno della sua miglior prestazione) e, visto che è gentile, vi sorriderà come un genitore al suo bambino che gli fa la domanda più ingenua del mondo.

Ambizione – Di solito è proprio l’ambizione che fa incontrare il muro. L’atleta diventa sordo alla realtà, vuole fare il suo record, vuole scendere sotto le tre ore ecc. Si aggancia al pacemaker e va… Va dove lo porta il cuore… finché non incontra il muro frantumandocisi contro insieme ai propri sogni.
Da cosa è rivelata la propensione a dare un eccessivo peso all’ambizione anziché al proprio reale valore?

Una prima metà più veloce della seconda è spesso indice di sopravvalutazione da parte dell’atleta.

Non è affatto vero che “in maratona bisogna mettere fieno in cascina perché poi si cala comunque”. I professionisti non calano affatto o calano di pochissimo (chi crolla confessa candidamente di aver sbagliato tutto…), anzi ormai è usuale che la seconda parte sia più veloce della prima.
Quindi se si incontra il muro per ambizione, ci si cosparga il capo di cenere e si diventi più modesti: la prossima maratona sarà molto più facile

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